In montagna lo spopolamento non è mai cessato, e la pandemia non cambierà i rapporti con la città
Le riflessioni di Gino Borello (CAI Mondovì) a margine dell'editoriale Se non ora, quando?
L’editoriale Se non ora quando?, pubblicato sul numero 1 di Alpidoc 2020, mi induce ad alcune riflessioni.
Sì, il virus ha portato a galla problemi latenti.
Certamente un’economia montana basata sul turismo è troppo fragile, ma qualsiasi economia di un piccolo paese nata e cresciuta senza un tessuto sociale è fragile. Una comunità viva, avrà sempre un ricambio generazionale, un erede della propria cultura e dunque un futuro garantito, mentre un’economia basata sul singolo, magari venuto da lontano, creerà una situazione di nicchia, attiva, ma isolata.
L’accesso veloce e per tutti alla rete è sicuramente indispensabile per favorire la condivisione in tutti in campi con la società civile, ma ritengo primaria una politica che favorisca chi già vive in montagna e lì ha le sue radici e vorrebbe continuare a viverci e non sia costretto a scendere a fondovalle o in città per trovare i servizi che tutti gli altri hanno come diritto acquisito.
È sbagliato pensare alla montagna solo come turismo o come “agri”; in montagna può viverci chiunque e non solo chi è votato alla “agri”coltura o al turismo. Ogni tipo di attività, naturalmente compatibile con il territorio, deve essere garantita e il primo passo utile, necessario e indispensabile è mantenere e ripristinare i servizi essenziali.
Lo spopolamento degli anni Sessanta, tanto sbandierato quanto dimenticato ad opera di una politica insensata a favore delle grandi fabbriche, non è mai cessato e il silenzio su questo problema fondamentale continua. Complice anche la visione sbagliata di chi vive in città, che vede nella montagna quel luogo dietro casa dove “rigenerarsi passeggiando, sciando, arrampicando o anche solo godendo della vista di un panorama, del respiro di un bosco”; no, la montagna non può essere solo questo! La montagna non è solo un posto dove andare in vacanza; chi vive in montagna non è sempre in vacanza solo perché vive lì.
Vorrei che nelle nostre valli coloro che ci nascono potessero continuare a viverci, se lo desiderano, e a svolgere il loro mestiere con l’identica possibilità di chi abita altrove e non siano costretti ad emigrare o a pendolare solo perché lassù manca ciò che giù invece c’è.
Le istituzioni, a partire dai Comuni, non possono soltanto premiare chi sceglie di rimanere, di ritornare o di andare a vivere in montagna come se questo fosse un atto di coraggio, ma devono farsi carico di una politica lungimirante che miri a ricreare l’intreccio naturale sociale delle piccole comunità. E questo può avvenire solo se lo Stato garantisce a tutto il territorio nazionale uguali opportunità perché, giustamente, “la barca è una e non va affondata, visto che siamo tutti sopra”.
Attendo con fiducia la risoluzione di questa grande crisi epidemio-economica, ma nutro poca speranza che l’immagine della montagna vista dalla pianura cambi.
Grazie dell’attenzione.
Gino Borello, socio Sezione CAI Mondovì
Nella foto: il treno dei desideri, Tetto Cannone, Valle Stura (© Enrica Raviola).